DISOCCUPAZIONE GIOVANILE, SENTIMENTO DI FRUSTRAZIONE PER GIOVANI E FAMIGLIE

Si attesta a circa 1,2 milioni il numero di disoccupati sotto i 35 anni in Italia, confermando un altro nostro triste primato europeo. Ma, tabelle statistiche e confronti non sempre fotografano la natura sociologica di uno dei mali dell’Europa contemporanea. Nei primi anni cinquanta, gli anni della ricostruzione, era certamente più facile trovare un lavoro, anche perché di questo si trattava, lavorare senza badare troppo a quale lavoro. Le occasioni di occupazione erano molteplici, supportate dall’entusiasmo di uno sviluppo che sembrava non dovesse finire mai.

Negli anni settanta, con la crisi del modello Taylorista e la contestuale nascita di migliaia di piccole imprese, nate dalla capacità di ex operai che per scelta o necessità decisero di “mettersi in proprio”, prende forma una nuova componente sociale che da una parte creerà ricchezza e al tempo stesso desiderio di rivalsa sociale.

E’ in questi anni settanta, dove l’apprendistato significa ancora come all’inizio del 900′ “rubare il mestiere”, che si formano gran parte degli imprenditori del centro nord. Un apprendistato a zero diritti per l’apprendista a fronte di cessione di conoscenza da parte del titolare.

Era prassi comune che, durante le vacanze estive, i genitori cercassero occupazione per i loro figli, anche giovanissimi, presso il meccanico, il fornaio o altre piccole realtà con l’intento principale di inserirli nel mondo del lavoro. Nessuno si stupiva se un giovane universitario prendeva qualche calcio nel sedere perché non sapeva ancora spazzare l’officina e, tanto meno, ai suoi genitori non sarebbe mai venuto in mente di lamentarsi per il trattamento subito dal loro figlio, tutto veniva inquadrato all’interno di quella grande “scuola di vita” per la quale un giorno questi ragazzi avrebbero guardato con gratitudine e riconoscenza i loro “maestri”.

Si, tanto è cambiato da allora e quei giovani da “bottega estiva”, diventati poi professionisti, artigiani, commercianti ed entrati di diritto in quella classe media dove una vita di sacrifici, a volte di privazioni, ha permesso, tra le altre soddisfazioni, di poter fare studiare i figli senza passare per una dura gavetta, a torto o a ragione, oggi, desiderano e pretendono per i loro figli un’occupazione all’altezza delle aspettative.

Ecco che il meccanismo sociale si scontra con una realtà che non corrisponde e non risponde alle aspettative, ma a logiche completamente diverse; le cosi dette logiche di mercato, dove l’equazione più formazione, più master non sempre corrisponde a più certezze e possibilità di scelta. L’istruzione vista da giovani e famiglie, quindi, solo come mezzo e non come fattore culturale di arricchimento e crescita, che non prevede tra le possibili opzioni un lavoro manuale, una formazione sia superiore o universitaria che non contempla la voce “sporcarsi le mani”.

Quante volte abbiamo sentito genitori, rivolgendosi ai figli, affermare con convinzione “studia se non vuoi spaccarti la schiena come tuo padre”.

Questo sogno del futuro diplomato o dottore, si infrange inevitabilmente e inesorabilmente qualche mese dopo il raggiungimento del “pezzo di carta”. La ricerca di un posto di lavoro risulta complicata, si scopre che tanti sacrifici non hanno dato i frutti desiderati, giovani e genitori si risvegliano da un sogno e rifiutano logiche di mercato che richiedono medici, anziché avvocati, commercialisti o psicologi.

A nessuno di loro interessa, se sempre il mercato ricerca restauratori, carpentieri e cuochi, con la convinzione che le professioni manuali non siano adatte e compatibili, non tanto con la formazione ricevuta, ma con la posizione sociale che dal loro punto di vista ne consegue.

Sono necessarie politiche comunitarie atte a diminuire l’incertezza, le diseguaglianze tra lavoratori a tempo indeterminato e atipico, è necessario attualizzare formazione e istruzione alle esigenze del mercato del lavoro, vanno sviluppati dalle imprese progetti, sistemi e prodotti a maggior valore aggiunto che si traducano in maggior occupazione, senza dimenticare che la fonte di profitto sono sempre più le idee, più che gli oggetti, ma vanno soprattutto ripensate alcune convinzioni, rivedendo modelli di pensiero che creano frustrante disoccupazione, modelli comportamentali che per eccesso di amore vedono i genitori sognare una vita comoda per i propri figli anziché realistica.

I nostri giovani devono essere stimolati a mettersi in gioco con modestia e con la consapevolezza che le aziende e il mercato del lavoro guardano sempre più a cosa si sa fare piuttosto a ciò che si è studiato.

I tempi sono proprio cambiati, chissà cosa consiglierebbe quel giovane apprendista di bottega che pur dotato di qualità rare, iniziò la sua attività lavorativa spazzando e pulendo pennelli nella bottega del Verrocchio.

Enrico Mattinzoli (20.10.2011)

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