LA CADUTA DEL PARTITO PERSONALISTICO

Correva l’anno 1992, il paese veniva scosso da un’ondata di arresti di personalità politiche che sino a quel momento erano stati i padroni assoluti e incontrastati della politica italiana.

Silvio Berlusconi, imprenditore milanese poco o nulla conosciuto negli ambienti politici, decide di dar vita con una colossale operazione di marketing ad un nuovo soggetto politico che si rivolge a tutti quegli elettori moderati orfani della DC.

Vengono così arruolati manager e dirigenti di Publitalia con un unico obbiettivo “vendere un nuovo prodotto” che, supportato da una pressante richiesta di cambiamento degli italiani e da una potente macchina mediatica, porterà il Cavaliere nel 1994 a vincere le elezioni.

Non vi è una base culturale,una storia ,un radicamento, nel nuovo “partito degli italiani”,ma al tempo stesso, la voglia di cambiamento e l’incertezza politica, fanno si che il successo di Silvio Berlusconi sia immediato.

Una nuova formazione politica che non è frutto di una profonda e paziente iniziativa costruita nel tempo, ma del tempismo e del fiuto di un uomo che aveva fondato la propria fortuna grazie ad uno spiccato senso dell’opportunità, e che risulta essere l’elemento vincente in un Italia tanto disorientata quanto pronta a cavalcare il “ grande sogno italiano”.

Nello stesso periodo, Umberto Bossi interprete del malessere delle piccole imprese del Nord, Ferdinando Casini raccogliendo quel che resta della DC, Gianfranco Fini non coinvolto negli scandali che hanno travolto i partiti di maggioranza e Antonio Di Pietro il Pubblico Ministero che insieme al pool mani pulite ha contribuito alla caduta della prima Repubblica ,con lo stesso tempismo,anche se con mezzi enormemente ridotti rispetto a quelli messi in campo dal Cavaliere, strutturano i loro Movimenti o Partiti divenendone di fatto i padroni assoluti.

(Enrico Mattinzoli 22.11.2012)

Nascono così formazioni politiche che basano tutta la loro forza e immagine sulla persona del capo, al punto da inserire il loro nome come parte integrante del simbolo dei rispettivi partiti.

Sono passati quasi venti anni e la situazione, anche se con sfumature diverse, sembra ripercorrere schemi e percorsi già visti.

Oggi come allora, assistiamo ad un marcato distacco tra società e partiti, che, come agli inizi degli anni 90′, alimenta la nascita di nuove figure o capipopolo, e a prescindere dalla bontà delle idee e dalla capacità di chi le propone, restano sempre vincolate al cordone ombelicale del leader quasi come se dietro di lui non ci fosse nessuno, se non chi ,quelle idee condivide.

“One man show” travolgente nella sua capacità di saper dire ciò che la gente vuol sentirsi dire, ma che con la stessa velocità che è cresciuto, rischia al primo ostacolo, di arrestarsi.

Ecco quindi, Fini per una casa, Di Pietro per più di una, senza voler per questo dare giudizi, cadono sotto la scure del solo sospetto, e i loro partiti con loro. E come accade da millenni nella storia del mondo, chi prima gli acclamava e pronto a condannarli senza appello.

Un Berlusconi contraddetto dai suoi “fedelissimi”, un Umberto Bossi fischiato dai suoi militanti, sono immagini che solo fino a poco tempo fa erano inimmaginabili.

Lo stesso Beppe Grillo che censura una “sua” consigliera rea di aver partecipato ad una trasmissione televisiva, rischia di far implodere e vanificare gli obbiettivi di un movimento che proprio perchè nato da uno stato d’animo non può essere relegato nell’esprimersi, alla sola tastiera del computer.

In buona sostanza, necessità di confronto e discussione di una pluralità di vedute, ma soprattutto di ricambio, in una società sempre più complessa che si evolve e si trasforma è l’unica formula capace di garantire la sopravvivenza di movimenti partiti o associazioni.

Non si tratta solo di confronto di ricette, ma di coinvolgimento vero , di meritocrazia, che spesso il “capo” tende a declinare in “fedeltà”, danneggiando non solo la sua creatura ma la buona fede di chi crede in lui e lo sostiene.

E allora la storia della DC e del PCI potrebbero insegnare che partecipazione, confronto, critica, alternanza debbono essere argomenti irrinunciabili di qualsiasi progetto politico si voglia intraprendere.

Enrico Mattinzoli (22.11.2012)

 

 

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