RIDISTRIBUIRE LA RICCHEZZA

Sempre più spesso l’argomento ricchezza e la sua sproporzionata distribuzione, pone di fronte ad interrogativi e riflessioni ai quali risulta difficile dare una adeguata risposta.

Tra le varie civiltà del passato al culmine della loro parabola, il livello di reddito si distingueva di poco, la ricchezza di Roma nel 1° secolo D.C., quella della Cina nell’11° secolo e dell’India nel 17° secolo non era dissimile a quello dell’Europa Occidentale alle soglie della Rivoluzione Industriale.

Oggi il 90% della ricchezza totale del globo è nelle mani dell’1% dei suoi abitanti, la metà del commercio mondiale e più della metà degli investimenti totali, vanno a vantaggio di appena ventidue paesi che ospitano solo il 14% della popolazione del pianeta.

All’aumento del numero dei poveri si contrappone un aumento della ricchezza dei pochi, aumentando il divario delle condizioni sociali tra chi ha poco e chi ha troppo. Milioni di poveri sentenziano quindi il fallimento di un modello economico, che pur avendo migliorato le condizioni di vita e di lavoro in particolare nel secolo appena trascorso, non sono più in grado di garantire certezze per il futuro.

Il modello familiare che nel secondo dopoguerra si era caratterizzato da una progressiva trasformazione da famiglia estesa ad una riduzione dell’ampiezza a favore di una famiglia coniugale-nucleare, mono genitoriale e uni personale, ha subito, nell’ultimo decennio in particolare, una ulteriore trasformazione in favore della famiglia allargata.

Tale fenomeno particolarmente presente nell’area dei paesi europei del mediterraneo, trova spiegazione non tanto in una trasformazione dei costumi, quanto in una situazione economica che questi costumi modifica radicalmente, non consentendo ai giovani di trovare un lavoro e quindi indipendenza, agli anziani di dover far fronte alle necessità di figli adulti separati, o viceversa ad anziani senza coniuge, di dover dipendere dall’ospitalità dei figli, in una trasformazione forzata che ha in sè il sapore amaro della sconfitta di un modello che garantisce i pochi a scapito dei più.

Ed è così che assistiamo al progressivo aumento delle “ nuove povertà” e ad una contestuale rivisitazione dei modelli di welfare state, dove alle maggiori richieste di intervento si contrappone una sempre minor disponibilità di risorse, spesso aggravate da provvedimenti ( quello della riforma Fornero è emblematico) che non tengono in alcun conto certezze che fino ad ieri erano acquisite.

Risulta ovvio che la crisi del sistema non è solo italiana, e non può essere attribuita a singoli governi, ma certamente la mancanza di politiche di lungo periodo dove la programmazione, in particolare negli ultimi 40 anni, ha lasciato il posto a politiche del giorno dopo, ha contribuito ad alimentare e drogare un sistema che non poteva reggere a lungo.

Non nascondo un certo pessimismo nell’immaginare un nuovo modello economico che sappia coniugare crescita economica e giustizia sociale, consapevole che la forza degli interessi economici è da sempre in grado di condizionare la politica, così come lo furono le grandi compagnie di navigazione, i mercanti internazionali e i banchieri nel Rinascimento, gli industriali nel diciannovesimo secolo e successivamente le multinazionali e ancora i banchieri.

E’ necessario quindi un ritorno alla politica che sappia riprendersi la titolarità della tabella di marcia del paese, che sappia essere lungimirante, che sappia sviluppare l’economia nel rispetto degli interessi generali.

Al Forum Economico Mondiale di Davos si è avuta la conferma che maggiore è la distribuzione della ricchezza e meglio si stabilizza la domanda di beni, evitando l’attuale eccesso di offerta e sovrapproduzione, dovuta non solo a ragioni sociologiche come qualcuno sostiene, ma alla mancanza di domanda, conseguenza di insufficienti risorse dei lavoratori a reddito fisso, capaci di alimentarla. Lo stesso Presidente degli USA , modello per eccellenza del liberismo economico, apre una riflessione relativa al tema di una maggiore equità sociale.

Dovrà quindi essere argomento prioritario di discussione dei governi quello di affrontare la ridistribuzione della ricchezza dovuta in particolare a disuguaglianza di patrimoni piuttosto che di redditi, attuando una imposta che colpisca progressivamente in base ai patrimoni, detassando al tempo stesso il lavoro, e quindi lasciando più risorse a disposizione dei redditi medio bassi, creando effetti immediati all’economia e una maggior giustizia sociale.

Tutto questo deve essere supportato da un vero e proprio rilancio delle nostre capacità produttive sviluppando la ricerca, l’alta formazione, e la promozione dei nostri prodotti nei mercati emergenti quali Cina India e Brasile, insomma attuando una politica lungimirante sul modello della vicina Germania. Un adeguato welfare state quindi, frutto di una maggior distribuzione della ricchezza e di una politica di sviluppo economico capace di garantirla.

Enrico Mattinzoli (02.01.2013)

Back to Top