RINNOVARE ATTRAVERSO IL CAPITALE SOCIALE IL RAPPORTO TRA POLITICA E SOCIETA’

Il capitale sociale, termine che risale alla sociologia classica del diciannovesimo secolo, diviene a partire dagli anni novanta sempre più ricorrente per indicare fiducia, cooperazione sociale, partecipazione inclusiva, ovvero un bene pubblico e come tale inalienabile. Il capitale sociale è un sistema di valori diffusi nella cultura politica di un territorio in grado di produrre ricadute importanti sullo sviluppo economico, politico/istituzionale, in un legame di “fiducia” reciproca tra gli attori, al punto che la sua assenza genera chiusura, isolamento, esclusione, ovvero “familismo amorale”.

Nel nostro paese in particolare, i distretti industriali sono il prodotto di questo legame fiduciario tra politica economica e i grandi partiti di massa nati negli anni venti fino agli anni sessanta del secolo scorso che, nelle regioni del Centro (zone rosse) e del Nord-est (zone bianche), accompagnavano l’individuo “dalla culla alla tomba” in una sorta di intreccio benefico tra politica, imprese e lavoro che sono stati determinanti a partire dai primi anni settanta per la nascita di migliaia di piccole imprese

Questo processo è venuto meno verso la fine del secolo scorso, modificando via via il rapporto tra istituzioni e cittadino, in un clima di insoddisfazione, in un crescente atteggiamento critico verso la politica. E’ evidente che l’accelerazione imposta dalla globalizzazione richiede e richiederà, da parte delle istituzioni, risposte a problematiche sempre più complesse; si pensi ad esempio alla crescente incertezza per il futuro delle giovani generazioni, al grado di congestione e occupazione del suolo, al degrado ambientale.

Risulta quindi difficile immaginare che senza un contesto di reciproca fiducia tra società e politica, con un conseguente ritorno ad un legame partecipativo, che era alla base della nostra democrazia, si possano creare le condizioni di un’inversione di tendenza.

La crisi economica dei paesi industrializzati, dovuta in parte ad un eccesso di offerta/sovrapproduzione (forse in questo e solo in questo, non nel crollo del capitalismo e la conseguente rivoluzione proletaria, Marx, anche se con un secolo di ritardo, ha avuto ragione), una impossibilità/incapacità dello Stato di dare risposte alle attese dalla società, un’inarrestabile macroscopico divario in termini di distribuzione di ricchezza tra cittadini, una crescente crisi di valori, determina una sorta di rigetto nei confronti nella classe politica e di conseguenza nelle istituzioni pubbliche, tale da richiedere un radicale ripensamento della nostra struttura sociale.

E’ all’interno di questo quadro che si inserisce il crescente indebolirsi dei canali tradizionali di partecipazione politica, intesa come iscrizione ad un partito o la partecipazione stessa al voto, dove i partiti vengono progressivamente delegittimati e percepiti come apparati parassitari lontani dalla “gente”, venendo meno la loro capacità del dopoguerra di fornire rappresentanza, trasmettere significati, senso di appartenenza e di identità.

Il partito tradizionale lascia spazio ad una sorta di partito elettorale, a comitati che si attivano solo a ridosso delle consultazioni elettorali per sciogliresi automaticamente il giorno dopo le elezioni, viene quindi ridimensionato (anche per mancanza di idee e argomenti, se non quello di vincere la competizione), il rapporto con la base che viene sostituita da esperti di sondaggi, dell’immagine, della comunicazione e del marketing.

Tutto ciò ha prodotto i risultati che tutti conosciamo: l’allontanamento dalla politica ideale concepita da Weber, quel “vivere di politica” inteso come ” vivere per la politica” di chi ne fa una ragione di vita nell’interesse generale. Si produce quindi, una base elettorale più eterogenea, meno fidelizzata e di conseguenza più volatile, la quale viene intercettata attraverso sofisticati canali di comunicazione che privilegiano messaggi più che programmi (pare non interessino più a nessuno, perché sostanzialmente sovrapponibili ed intercambiabili).

Una politica che non appare più in grado di essere riferimento del territorio, che dipende sempre più da decisioni prese da pochi e talvolta da un unico soggetto che in alcuni casi si identifica come l’anima fondamentale della nascita del partito stesso e che inizia inevitabilmente ad essere messo in discussione

In conclusione, il consolidarsi di un nuovo capitale sociale che sappia ricreare elementi di aggregazione, attraverso valori e ideali condivisi e partecipati, può essere l’elemento di svolta e di rinascita della politica.

Enrico Mattinzoli (23.09.2011)

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