L’INTERVISTA A ENRICO MATTINZOLI: «VENT’ANNI A TUTTO CAMPO ECCO VITTORIE E SCONFITTE» (Corriere della Sera – M. Tedeschi)

Dopo 23 anni e sei mandati quadriennali consecutivi, rinnovati con voti plebiscitari, Enrico Mattinzoli lascia la presidenza dell’Associazione artigiani di via Malta.

Lo fa motu proprio, come si direbbe in gergo ecclesiastico, dopo aver chiesto e ottenuto nel 2007 una modifica statutaria che limitava a due i mandati residui.

Se tutto andrà come previsto il 18 dicembre, a succedergli alla presidenza, sarà il suo attuale vice Bortolo Agliardi.

Mattinzoli, chi glie l’ha fatto fare? Nessuno l’avrebbe scalzata dal suo posto… 

    «Abbiamo sempre criticato la politica che ripropone sempre le stesse facce. Diamo noi il buon esempio. In questi anni ho fatto tanto, ma col tempo piano piano l’entusiasmo viene meno. Dall’Upa alla Coldiretti, dall’Aib all’Api a Confartigianato, i cambi di presidente sono sempre stati burrascosi. Io invece lascio in rapporti di amicizia con i miei».

Ha ancora senso che ci siano quattro associazioni di artigiani a Brescia?

«Io sono diventato presidente nel ’92, contemporaneamente nasceva in Associazione una consulta dei giovani, presidente venne eletto Eugenio Massetti. poi lui è uscito ed è andato in Confartigianato. Io stabilii subito rapporti con Bonetti dell’Upa e Ferraboli della Cna. Sottoscrivemmo un accordo serio affinchè prima noi e poi Cna aderissimo a Confartigianato. Nella federazione avremmo messo non i patrimoni ma i servizi. Sarebbe bastato un anno e il progetto sarebbe decollato. Invece saltarono gli equilibri in Confartigianato, e con Rizzi presidente la cosa non è più andata in porto».

Rimpianti?

«Non sappiamo come sarebbe andata. Di certo la mancata unione ha fatto risparmiare ai nostri iscritti molti soldi in tutti questi anni. Chi si è associato 20 anni fa a Confartigianato ha sottoscritto una delega per un prelievo fisso, attraverso Inps e Inail, che i nostri associati non pagano. Un meccanismo che fra l’altro altera i numeri degli iscritti effettivi. Vuole sapere la realtà? Le associazioni artigiani o si unificano o spariranno. I servizi sempre più spesso sono soppiantati da quelli offerti sul Web. Ha ancora senso mantenere quattro uffici distinti a Lumezzane? La giovane presidente di Cna ha buone idee. Speriamo».

Lei è stato uno dei pochi critici con la lunga gestione di Bettoni in Camera di commercio…

«Le regole della nuova Cdc le ho scritte io di mio pugno, le firme che hanno portato all’elezione di Ambrosi le abbiamo raccolte io e Piccioli. A differenza di altri, le battaglie con Bettoni io le ho sempre fatte a viso aperto. I primi che gli hanno voltato le spalle sono quelli che dal ’92 fino a ieri gli hanno garantito i voti all’unanimità. Solo noi e la Coldiretti di Ferrari votammo contro le scelte della Fiera, e lasciammo tutti gli incarichi della Cdc. Oggi mi dicono che la Fiera ha accumulato 34 milioni di perdite. Possibile che la Corte dei conti non guardi a queste cose? Non dico di fare azioni di responsabilità, ma io chiedevo che a fronte di perdite gli amministratori non ritirassero i gettoni. li hanno ritirati fino al 31 dicembre del 2014. La presidenza ora sarebbe toccata a noi, ma ho convinto Agliardi a non accettare. Peraltro l’attuale presidente sta producendo un impegno notevole».

Non è stato frettoloso chiudere le fiere?

«Sì, anche perchè non c’era un piano B».

E il progetto Nibiru?

«Tutti sapevano che era un bidone. Adesso è veramente grigia. Il mercato immobiliare è fermo. Per un grosso centro commerciale non c’è più spazio. Quando aprirà il nuovo Ikea non resterà che rottamare quel che è rimasto. Il mutuo va pagato ancora per 6-7 anni. Spostare lì Aqm, Csmt? E poi chi paga? Nelle fiere bisogna mettere chi è bravo a farle fnzionare. Io proposi Calzoni, che aveva risollevato Parma, però alla fine non è stato chiamato».

Il dualismo con Montichiari è un’assurdità.

«Nel 2003, quando ero assessore in Provincia, entrammo nel capitale di Montichiari ma con l’impegno a unificare alcune iniziative. Rimase lettera morta».

L’altra nota dolente è l’aeroporto….

«Però mi pare che stavolta si arrivi al dunque. Partiremo con i cargo e poi speriamo arrivino i passeggeri. Bonometti e Campana si sono spesi molto».

Lei è stato anche assessore provinciale. Le manca quell’esperienza?

«No, però mi piace ricordare i risultati di quella stagione: il Cfp Zanardelli, il piano energetico. Chiamai come consulente il professor Clò. Mi chiese che cosa dovesse risultare dal suo studio. Gli risposi: “Quello che lei pensa”. Mi rispose: “D’accordo, altrimenti non avrei accettato”. Risultò che la provincia era autosufficiente dal punto di vista energetico. Clò spiegava che fare nuove centrali a turbogas sarebbe stata una follia. Allora i progetti si sprecavano: Offlaga, Mairano. I siderurgici mi attaccarono. Recentemente due di loro mi hanno ringraziato per aver fatto evitare loro quella scelta sciagurata».

E poi?

«Le scelte sull’ambiente: le isole ecologiche e i punti acqua. Ho solo dato soldi ai Comuni: mai avuto un addetto stampa. Abbiamo sindaci fantastici. La sinistra dc – lo dico io che non vengo certo da quella cultura politica – ha formato amministratori illuminati, intelligenti, concreti. Un mio vanto è il Piano rifiuti, dimostrò che non servivano altre discariche, a meno che si volesse fare il business con i rifiuti di altre province. Non ho avuto problemi a discutere con un ambientalista come Ruzzenenti, preparato e concreto».

L’esperienza in A2A, in consiglio di Sorveglianza, cosa le ha lasciato?

«Bellissima esperienza. Siamo entrati in consiglio di Sorveglianza con Brescia e Milano che non si parlavano. Zuccoli e Capra cestinavano l’uno le decisioni dell’altro. Entrambe grandi personalità. Lì ho conosciuto numeri uno della finanza come Miccinesi e Bifulco. Sala è rimasto pochi mesi ma ha compiuto un gesto ammirevole, rinunciando a un milione che gli sarebbe spettato. Stefano Cao è un grande manager. Peccato sia uscito Ravanelli: l’ad giusto per questa A2A era lui».

Forse ora si raggiungerà l’accordo con Lgh che a voi non riuscì.

«Il futuro per le piccole società non c’è. Ormai si fanno gare internazionali e 6 miliardi di fatturato non sono niente rispetto a gruppi da 30, 50 miliardi. In Italia non si farà alcun nuovo termoutilizzatore, nè a Torino nè a Napoli. Quelli son progetti che si fanno all’estero, lì ci si misura con colossi. Poi servono società come Aprica a contatto con il territorio. Comunque per i Comuni scendere sotto il 50% non è un problema: quel che contano sono i patti parasociali».

Lei arrivò al limite del divorzio politico con il centrodestra quando parlò bene del sindaco Corsini del Pd…

«E’ vero e confermo il giudizio. Era un sindaco che dava risposte. Gli chiesi di intitolare una via al nostro “padre” storico, Lino Poisa. Lui non mi disse nulla poi, due giorni prima di dimettersi, firmò la delibera. Oggi la via dell’Associazione si chiama via Poisa».

Il suo giudizio sull’attuale sindaco?

«Positivo. Su di lui e sulla Castelletti, in città si torna a discutere di cultura. Come associazione siamo soddisfatti. Del Bono è disponibile come lo è stato Corsini, a differenza di altri».

La politica attiva le manca?

«Vede, per dieci anni tutti i lunedì con un gruppo di amici ci siamo trovati a discutere: Saglia, Beccalossi, Bonometti, Ghirardelli, pochi altri. Quando poi An è confluita nel Pdl io non ho proseguito: non avevamo niente in comune con Forza Italia e ne sono ancora convinto. Ho conservato buoni rapporti con questi amici, oltre che con molti della Lega. Ci siamo ritrovati recentemente: alcuni sono in Ncd, altri in Fratelli d’Italia. E’ stata una chiaccherata piacevole. Ma dubito che faremo qualcosa».

Eppure qualcuno pensa a lei come candidato sindaco.

«No, non torno in campo. Se mi chiedessero di dare una mano come tecnico potrei accettare, ma non come candidato sindaco. Però mi piacerebbe vedere amministratori che guardano a un orizzonte di 5-10 anni e non si limitano ad amministrare, magari bene, il quotidiano. Serve una prospettiva. Ma non vedo simili progetti».

 

 

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